lunedì 30 maggio 2016

Il tappetto di Iqbal

Uno dei gruppi si chiama Il Tappeto di Iqbal...La cooperativa sociale ONLUS "Il tappeto di Iqbal" opera nel quartiere di Barra di Napoli ovvero il quartiere con la maggior presenza di giovani di tutta Napoli e allo stesso tempo con livelli di dispersione scolastica tra i più elevati della Campania. Mezzi di trasporto al minimo, assenza di un Cinema, di un Teatro, di centri di aggregazione, spazi pubblici chiusi e i pochi aperti devastati e abbandonati, containers di amianto scaduti dal terremoto del 1980, campo rom in condizioni disumane e mentre tutti si preoccupano del quartiere postmoderno Scampia nato come a tavolino nel classico sistema post terremoto della ricerca della "imperitura gallina dalle uova d'oro" a Barra si sviluppa una forte organizzazione camorristica e criminale con storiche stragi da quella di Piazza Crocelle a quella di Ponticelli. Siamo costretti a stare per strada malgrado il riconoscimento nazionale e internazionale nei nostri confronti. Abbiamo chiesto di poter stare nella scuola Salvemini di Barra ma si preferisce, in un calcolato rimbalzo di responsabilità, lasciarla nelle mani dell'Abusiva Signora Patrizia che ci fa un pò quello he gli pare mentre con oltre 30 bambini dobbiamo stare in strada. Ma il 30 Gennaio la stessa lascia la Salvemini e mentre eravamo a Milano a raccogliere fondi per andare avanti la camorra ha distrutto la Salvemini. La camorra è una conseguenza di questi quartieri e spesso si sostituisce alle istituzioni. Esiste una crisi morale prima che economica. Bisogna ricostruire la "Bellezza" che raccontava Peppino Impastato. Le istituzioni sono vergognose ( dico sempre ai ragazzi "le istituzioni e non lo Stato perchè lo Stato siamo noi") ma abbiamo l'affetto di Save the Children, Libera, Legambiente, Unicef, Garante per i diritti dell'Infanzia, Circomondofestival, Palestina, Chapas, Argentina, Brasile, Kenya, Uruguay.... Allora vuol dire che siamo sulla strada giusta...

giovedì 19 maggio 2016

Ma chi "abita"questa esperienza?

Ma chi abita questa esperienza?

  • Bepi e  Serena: sposati da 23 anni hanno sempre sognato una realtà di accoglienza, una casa con la porta aperta.Dal 2010 questo sogno si è realizzato!
  • Anna, Isacco e Riccardo:figli di Serena e Bepi hanno sempre respirato il sogno dei genitori ed ora lo stanno condividendo
  • Ana, 23 anni, è una ragazza moldava arrivata nella casa comunitaria nel 2013,attualmente lavora con Bepi nella sua macelleria
  • Mohammed, 35 anni, raggazo del Niger arrivato in Italia con le prime imbarcazioni nel 2011 e a Camposampiero dal 2015
  • Famory, 21 anni, dal Mali fa parte  del progetto "Un rifugiato a casa mia"
  • Stefania: grazie a lei Bepi e Serena hanno potuto realizzare il loro sogno che è diventato anche il sogno di Stefania
  • e Armando e Rita, i genitori di Stefania, che con la loro costante ed attenta presenza danno un aiuto continuo!

giovedì 12 maggio 2016

Progetto "Un rifugiato a casa mia"

Da circa 7 mesi la Casa Comunitaria ha aderito al progetto proposto dalla Caritas della diocesi di Treviso "un rifugiato a casa mia".
Il progetto consiste nella sperimentazione di una nuova forma di accoglienza dei rifugiati, al fine di supportare il processo di inclusione nella comunità e il raggiungimento di autonomia. 
Famory ha 21 anni ed è arrivato in Italia nel 2014 dopo un lungo viaggio da Kobiri, in Mali, alla Libia dove ha dovuto scegliere  tra due possibilità: morire li o in mare. Allora è salito su quella barca, insieme ad altre 120 persone con la possibilità di morire ed è arrivato in Italia.Famory ha trovato accoglienza nella Casa Comunitaria dove si tiene occupato con dei lavoretti di volontariato insieme ad altri ragazzi fuggiti anche loro dal loro Paese.
Famory, Anwar, Amadou e Dawod (ospitati dai Frati Antoniani e dalla parrocchia di Camposampiero) sono scappati dalla guerra, hanno dovuto scegliere tra la morte sicura e la possibilità di vivere, tra la morte e la distanza dai propri famigliari, da una mamma e un papà che ogni  giorno mancano di più ma da un Paese che a loro non manca, un Paese di guerra che li ha costretti a fuggire. 
"Come possiamo essere indifferenti?" afferma Bepi " non possiamo e allora perchè non condividere un po della nostra quotidianità con loro?"  
"Ci siamo messi in gioco"  continua Serena "loro lo hanno fatto nel momento in cui sono usciti dalla loro casa ora tocca noi uscire dalla nostra casa ed accogliere, aprirci ad un mondo che sta cambiando ma che spetta a noi cambiare!" 

giovedì 5 maggio 2016

Cantiere Maloca

E dal sogno di condividere ed aprirsi agli altri la Casa Comunitaria da circa un anno ha creato uno spazio per ospitare gruppi, fare serate di sensibilizzazione verso i luoghi e le persone marginali della nostra società: il CANTIERE MALOCA:
  • CANTIERE perché è un luogo sempre in costruzione ed evoluzione come l’esistenza di ciascuno di noi.
  • MALOCA è una parola indigena brasiliana tipica dell’Amazzonia che indica la tenda o capanna situata al centro del villaggio. E’ uno spazio condiviso, una realtà in cui tutto può essere messo in comune, ognuno è partecipante, comunicante con altri in una logica di scambio, di accoglienza reciproca e di edificazione di un progetto comune.
Un posto dove stare insieme, un posto dove aprirsi al confronto, al dialogo e allo condivisione dei sogni che la Casa Comunitaria ha.